Il nome che portiamo ci rimane appiccicato addosso per tutta la vita:
ci piaccia o no. Certo possiamo mascherarlo con diminutivi o vezzeggiativi,
ma cambia poco nella realtà dei fatti. Tuttavia deve esistere una ragione
misteriosa che fa adagiare su ogni capo un nome piuttosto che un altro,
deve esistere un sottile filo di seta che cuce sulla nostra pelle le
lettere di un marchio.
Candida, quel giorno, se ne andava in giro come fanno tutti, con il nome
arrotolato intorno al collo, come uno scialle di lana. Faceva freddo,
d'altra parte. Era un mattino qualunque: il caffè bevuto in fretta,
la chiave che scatta nella toppa, la lista della spesa annegata in
una tasca. Candida camminava guardandosi le mani: le girava, le
capovolgeva: cercava qualcosa tra righe e rughe, come se in mezzo
alle dita screpolate abitasse il suo coraggio. Di tanto in tanto
s'imprigionava in una matassa scompigliata di pensieri e, senza
saperlo, cambiava andatura, ciondolando un po'.
Non aveva voglia di guardarsi intorno, eppure, ad un tratto, percepì
il muto richiamo di un cestino della spazzatura. Da un sacco nero
fuoriuscivano i corpi nudi di tre bambole di plastica. Le mani di
Candida si mossero quasi con rabbia per salvarli.
Allora senza perché le capitò dinanzi la sua infanzia. Si ricordò
di mille desideri mai esauditi e di semplici giochi improvvisati;
da un ripostiglio della sua memoria, affiorò anche l'unica bambola
che aveva posseduto.
Avvertì un giramento del capo, si sedette sul marciapiede con le
tre bambole sporche, abbandonate e spoglie. Le strinse al torace,
si rialzò con movimenti lenti e infine tornò a casa.
L'acqua del rubinetto scrosciava nel lavabo di ceramica bianca
lavando quei visi smarriti fino a scivolare sulle loro gambe fredde.
Una spugna cancellava le macchie.
Poi un ampio asciugamano di lino accolse quelle tre facce senza nome.
Candida ne carezzò le teste piccole e tonde che si nascondevano
in un palmo di mano e, scossa da una leggera vertigine, si chiese
cosa ci facessero quelle bambole tra le sue braccia.
Per qualche istante vagò nelle stanze vuote della sua casa infine,
con repentino scatto, uscì. Si ritrovò sul divano verde di Fiorenza
e lì si fermò a tacere.
Fiorenza, con la schiena piegata dal tempo, non conosceva più lo
stupore. In silenzio si sedette anche lei. Lentamente pescò da un
cesto di vimini una stoffa bianca insieme a gomitoli di lana.
Le sue mani ossute e storte agitarono nell'aria lunghi ferri grigi.
Dopo qualche giorno tre vestiti, venuti dal nulla, liberarono le bambole
dall'asciugamano di lino. Messe in fila l'una accanto all'altra ora
fissavano Candida cercando la vita.
Intanto una bimba lontana giocava tra i sassi, nudi i suoi piedi e
nude le mani; inventava una danza con un pezzo di legno, guardava
le nuvole e le seguiva in un sogno.
D'improvviso una voce gridò: "C'è un pacco in missione!".
Dal giallo cartone sbucarono tre bambole magiche.
La bimba sorrise e le prese per mano tornando a ballare in mezzo
ai suoi sassi.